Paul Auster metaforicamente nascosto dietro Platone, dietro uno dei suoi Dialoghi più celebri. O forse bisognerebbe dire il contrario? Che sia la forma del dialogo platonico a prendere posizione dietro – e dentro – Diario d’inverno?
Penso a quel ‘tu’ – che è poi il suo io – al quale Auster autore si rivolge, nel romanzo. Un ‘io’ che non è quindi Autore, e nemmeno Narratore: è il Lettore in azione nel dialogo. Uno dei due lettori: l’altro siamo noi. E così assistiamo alla narrazione di sé al Sé, secondo i canoni dei diversi livelli di memoria. Perché a me sembra proprio che lo scopo – conscio o meno – di Auster in questo libro, sia la reminiscenza: il rinvenire il suo Sé passato nel suo tempo presente.
E penso a quello che scriveva Platone nelle Leggi: il dialogo filosofico rappresenta la ‘tragedia più vera’. La scrittura si fa metodo e continua ad interpellare e persuadere il Lettore, a scrivere nella sua anima. Eppure, ciononostante, l’Autore-Paul riesce a risultare del tutto invisibile dietro lo schermo del Personaggio-Paul. Noi lettori assistiamo a questo tentativo (che direi riuscito) di reminiscenza e scopriamo che scrivere alla seconda persona, per quanto rarissimo da incontrare e difficilissimo da sostenere, conduce ad aprire una porta sulla propria anima.
Come insegnò Platone (nonostante il suo amore-odio per la scrittura).