Uno degli argomenti intorno al quale si esplicita la mia attività di Teacher Coaching è sicuramente quello dell’identità e dell’orientamento. In parte perché questi ultimi… venticinque anni (!) mi hanno progressivamente convinta della necessità di volgere l’azione formativa verso l’orizzonte della persona e non dello ‘studente che ha il dovere di imparare’. Ma anche perché è indubbio che il mio personale, di percorso di formazione, ha visto affrontare il tema dell’identità da molteplici punti di vista. Biologico (genetico, quindi), ma parallelamente anche filosofico. Sia dal punto di vista della filosofia tout court, che si è interrogata per secoli sul ‘conosci te stesso’, sia nell’ottica della filosofia della scienza, che ha imparato ben presto che l’immutabilità genetica dell’io è un reale miraggio.
Ma vi è anche un’altra immagine di che cosa sia l’identità del soggetto ed essa si riferisce non tanto a ciò che esso è ma a come esso agisce. Ed anche per indagare questa seconda declinazione di ‘identità’, muovere i passi nel terreno della filosofia può essere d’aiuto.
la filosofia, prima di essere una disciplina da insegnare, è una chiave di lettura della realtà
Se vi fosse ancora qualche docente non propriamente convinto della potenza didattica data da una ‘destrutturazione filosofica’ dei temi fondanti della propria disciplina, basterebbe invocare infatti la filosofia della narrazione. Non a caso, il mio terzo orizzonte di ricerca.
Come (ci) raccontiamo, cosa decidiamo di mettere in luce di noi e della realtà, quale strumento adottiamo per farlo, tutto contribuisce a definire la lucidità con la quale portiamo avanti la comprensione del mondo e di noi stessi.
Ma se il proprio dello studente è apprendere, che cosa significa questo verbo?
Quando iniziamo a concepire i nostri studenti (e noi stessi!) come sistemi dinamici, ci accorgiamo di modificare completamente l’immagine che abbiamo del loro (e nostro) apprendere. Perché apprendere è l’effetto del realizzarsi di una corrispondenza di struttura tra oggetto e soggetto. Ed è innegabile che l’oggetto dell’apprendere – che si tratti della realtà fisica come di quella interna a noi, della dimensione psichica – è sempre dinamico. L’oggetto è una storia. Per essere afferrato, colto, compreso, abbiamo bisogno di esercitare su di esso attività di riflessione – che ci richiama il passato – e di contemplazione – che ci proietta nel futuro. Ciò che gettiamo avanti oppure indietro (sì, persino indietro) sono le nostre ipotesi circa la realtà.
Banalmente, sono le risposte che diamo. Apprendere è rispondere.
Alan Newell e Herbert Simon, che hanno formulato il General Problem Solver Intelligence Framework, affermano con semplicità che rispondere significa effettuare – in iterazione – tre azioni:
1. definire lo stato iniziale del sistema (che cosa noi sappiamo del sistema che ha generato la domanda)
2. definire lo stato finale (che cosa noi desideriamo sapere del sistema in un futuro)
3. generare una serie di operatori che siano in grado di trasformare lo stato iniziale del sistema nel suo (desiderato) stato finale
Fin qui – convengo – nulla di particolarmente innovativo.
Il bello viene nel momento in cui Newell & Simon osservano che i tre concetti che definiscono la risposta, all’interno di un qualsiasi protocollo di problem-solving, si adattano molto bene anche alle tre aree della filosofia: ontologia, assiologia ed epistemologia. In modo molto schematico, l’ontologia è lo studio della natura dell’essere (che cosa è); l’assiologia indaga la natura della realtà estendendo il proprio campo d’azione nelle considerazioni etiche del “che cosa dovremmo fare con l’essere”; l’epistemologia è lo studio del “come siamo giunti a capire che cosa sia l’essere”.
A questo punto, potremmo leggere lo stato iniziale di Newell & Simon come lo schema di indagine dell’ontologia; lo stato finale rappresenterebbe la modalità con la quale chi indaga si avvicina al problema; infine, gli operatori sarebbero i tentativi del soggetto di trasformare lo stato iniziale in stato finale.
Rispondere diventa perciò COME il soggetto esprime il PERCHÉ di un CHE COSA.