“Ogni manifestazione della vita spirituale dell’Uomo si può intendere come un linguaggio”
(W. Benjamin, Sul linguaggio in generale e sul linguaggio dell’uomo, 1916)
E se offrissimo ai nostri studenti e alle nostre studentesse una scuola per scoprirsi poeti?
Poesia, cioè creazione. E la radice del creare, se in una certa ottica pare sia stata bandita dalla ‘scuola delle competenze’, da altro punto di vista è diventata un lasciapassare delle scuole più innovative (e a ragione!). “The power of being creative” recita il sottotitolo del volume “Out of our minds”, del compianto esperto in processi formativi sir Ken Robinson. Come ribadito del resto in tutta la sua attività precedente, nel testo Robinson definisce creatività una delle competenze base da sviluppare in ambito scolastico ed assegna ad essa – coraggiosamente ma dettagliando in modo univoco e chiaro la relazione – un ruolo primario nello sviluppo della ‘innovazione’ a livello sociale.
Ma lo strumento di ogni ποίησις è il λόγος. Estrarre dalla potenza dell’esistere un qualcosa di unico – e che affermi l’unicità del suo creatore – è immancabilmente una questione di linguaggi(o). Di esperienza dei linguaggi, di conoscenza e confronto individuale con essi. È la scoperta di una corrispondenza che diventa scoperta di sé.
“Si può essere poeti in tutti i campi”, scriveva Apollinaire… sarebbe utopia pensare che il sistema formativo collabori al radicamento di questa certezza?
La riflessione su che cosa si intende con ‘linguaggio’, condotta vivendo la professionalità – nonché la sensibilità – dell’essere docenti, credo possa giocare a favore della motivazione (ed anche del successo, in termini di ‘prodotto’), per entrambi gli attori del processo di insegnamento-apprendimento.
La considerazione di Walter Benjamin, riportata in esergo, ci ricorda un concetto forse ovvio, ma che, nella comunicazione in atto ‘dentro la scuola’, può spesso generare mistificazioni e mitizzazioni. Studenti e studentesse (soprattutto della secondaria di primo grado e del biennio delle superiori) percepiscono infatti come implicita, nella comunicazione didattica che ricevono quotidianamente, la rilevanza assegnata ad alcuni linguaggi (quelli puramente ‘lingue’) rispetto ad altri. Si tratta di un bias cognitivo paradossalmente rafforzato dalla confusione che spesso si ingenera negli studenti tra il ‘linguaggio’ della musica, della tecnica, della scultura e le diverse ‘lingue specialistiche’, di musicisti, scultori ed architetti.
Questo errore diventa ancor più drammatico quando si tratta di operare una scelta riguardante gli anni da dedicare alla scuola superiore. Che i diversi indirizzi scolastici siano velatamente distinti in ordine di dignità, è purtroppo un criterio che muove ancora molte delle famiglie che si accingono ad accompagnare i figli nella scelta.
La scelta (e la vita) della scuola superiore è, più di tutto, un primo ed abbozzato orientarsi verso un modello di realtà che si percepisce essere coerente con la propria realtà interiore, con la propria unicità. Quella ‘vita spirituale’, in senso lato, alla quale fa riferimento Benjamin. Mi piace leggere nella scelta della scuola superiore un volgersi dell’adolescente e del preadolescente verso la possibilità di trascorrere una vita a ‘raccontare la propria storia con le parole giuste’. Che spesso non sono parole, ma atti ed azioni motorie, alle quali – non dimentichiamolo mai – corrisponde sempre un pensiero.
‘Raccontare la propria vita’ significa progettare ciò che il neurobiologo Antonio Damasio definisce coscienza estesa, la base sulla quale ognuno costruisce il proprio Sé autobiografico.
Il risultato è un modello del mondo più che di una nicchia ecologica, insieme con modelli del passato, del presente e del futuro. Nello stesso momento in cui la coscienza di ordine superiore ci libera dalla tirannia del presente ricordato, tuttavia, la coscienza primaria continua ad essere presente. […] Di fatto, la coscienza primaria costituisce una potente forza-guida per i processi di ordine superiore. Noi viviamo contemporaneamente su diversi livelli. (G. Edelman, La materia della mente)
I linguaggi creano, per ognuno di noi, il modello del mondo: ognuno di essi esplicita una metafora diversa di realtà, sia esso il mondo al di fuori di noi oppure il nostro paesaggio interiore. Trovare la metafora-giusta-per-sé è la sfida dell’orientamento; in gioco non vi è semplicemente il dramma dell’abbandono scolastico, ma anche l’incapacità di raccontare a se stessi la propria storia, di mettere a fuoco rimpianti e speranze, di prevedere una via da seguire e le azioni da svolgere.
Mi è sembrato di dovermi fare schermo con i λογόι, per tendere con lo sguardo alla realtà di ciò che è attraverso di essi.
(Platone, Fedone)