(ovvero sulla necessità di una tassonomia)
Ho già più volte scritto, in questo luogo, come l’azione del ‘dare un nome alle cose’ serva ad introdurre ordine in quel flusso caotico che è la realtà (quella individuale, banalmente chiamata “vita”, così come quella esterna a noi, costituita da tutto ciò che viene definito “mondo” e dai suoi eventi).
Ogni processo di (ri)ordinamento siffatto utilizza come strumento la parola, nel suo manifestarsi in forma scritta oppure orale. Ma la prima tappa di tale processo è immancabilmente una tassonomia: prima di organizzare, mettiamo tutto in fila; un’azione che è poi essa stessa già ‘organizzazione’.
Le liste danno vertigine (citando Umberto Eco) perché costringono ad accorgersi di quanto sia complessa la realtà. Costringono a denudarla.
In ogni caso, ecco che predisponiamo tutto sul tavolo, adocchiando qua e là possibili ulteriori raggruppamenti, ma accontentandoci soprattutto di aver isolato dal resto quello che vogliamo consideare.
Dopo, soltanto in seguito, verrà il momento – appunto – di creare categorie definite. Cioè di introdurre livelli diversi di realtà, da poter confrontare, distinguere e (anch’essi) nominare. Soltanto quando verranno inseriti all’interno di scatole separate, gli oggetti potranno allora essere sottratti alla rigidità spaziale o temporale con la quale era stato inevitabile elencarli.
Perché si può scombussolare il tempo: e allora un evento che ci è appena accaduto potrà essere ricollegato ad un altro della nostra infanzia, e questa azione improvvisamente illuminerà la consapevolezza che abbiamo di noi stessi.
E si può stravolgere la distanza spaziale: una formula che abbiamo appena letto sul libro ci si presenterà improvvisamente analoga ad una molto più semplice che avevamo trovato nelle prime pagine del manuale. Improvvisamente capiremo tutto, chiedendoci come abbiamo fatto a non renderci conto, fino a quel momento, del senso, che ora ci apparirà evidente.
Per conoscere, per conoscersi, non vi è altra via: iniziare a disseminare davanti agli occhi il tutto. E farci i conti onestamente e senza censure.